Ad anni alterni, il cinema si riempie di improbabili documentari dedicati a famosi atleti oppure di encomiastiche biografie dall'aria discutibile. Recentemente questo filone sportivo mi ha regalato una piacevole visione come quella di
Race - Il colore della vittoria, film senza particolari pretese su una leggenda dell'atletica leggera. Lo sport più gettonato sul grande schermo ultimamente rimane - non solo in Italia, che strano - il calcio. Prima Messi, poi Ronaldo e ora è il momento di
Pelé, pellicola a cui non avrei mai dato una possibilità ma che, per uno strano scherzo di inizio giugno, ho visto.
Che pensieri dovrebbero nascere se a promuovere questo biopic, che si concentra sul decennio più importante della carriera del calciatore, è Edson Arantes do Nascimento in persona? Beh,
le aspettative - già modeste in partenza - si ridimensionano ulteriormente e il film inizia a sembrare una pura e spudorata autocelebrazione. Inutile, superficiale, anonimo: questi erano gli aggettivi che mi balenavano davanti agli occhi. Galeotta, però, fu una serata da "spina staccata", senza pensieri. Forse ero semplicemente in cerca di una pellicola di cui parlare con ira. Forse...
Forse dovrei imparare a non giudicare dall'apparenza, a non etichettare un film per la sua... locandina.
Pelé non verrà ricordato come un capolavoro e, senza dubbio, verrà stroncato più o meno ovunque ma a me è piaciuto. Mi ha rilassato, mi ha trasmesso un po' di quell'allegria che si provava da piccoli a giocare con un semplice pallone nel campetto del quartiere, un divertimento senza preoccupazioni né competizioni spietate. Spensieratezza è la parola d'ordine per questa visione che ripercorre alcuni anni dell'adolescenza di uno dei più grandi fenomeni sportivi di sempre.
L'infanzia di un ragazzo delle favelas di San Paolo, circondato da povertà, delinquenza e sofferenza.
Sofferenza per le profonde divisioni all'interno della società brasiliana, sofferenza per l'incapacità di riuscire ad affermarsi, un sentimento che si amplifica anche con un banale evento come quello della tremenda sconfitta subita in finale ai Mondiali di calcio del 1950. Pelé è un ragazzino in cerca di un'identità, proprio come il Brasile, che trova nello sport il suo destino che lo porterà ad affermarsi contro ogni previsioni in Svezia nel 1958.
Il film, soprattutto nella prima parte, a tratti mi ha ricordato due titoli più o meno recenti che apprezzo molto,
The Millionaire - sarà colpa di A. R. Rahman anche qui responsabile della componente musicale? - e
Trash. Nel complesso si tratta di una pellicola leggera, divertente anche se segnata da alcuni difetti che non sfuggiranno ai più tecnici.
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